Volodymyr Zelensky usa il caso invalidante o exemplum in contrarium per distruggere l’argomentazione della denazificazione di Putin
L’aggressione di uno Stato sovrano confinante a opera dell’esercito della Federazione Russa, incominciata il 24 febbraio 2022, ha provocato una guerra, oltre che sul terreno, anche riguardo alla comunicazione (o, se si preferisce, alla narrazione) e – campo di particolare interesse per noi – all’antica arte della persuasione. Vladimir Putin è ricorso al modello più scorretto, l’argomento ad baculum (“del bastone”), costituito da una minaccia, giacché “si cerca di far accettare una conclusione mediante un appello (diretto o indiretto, esplicito o implicito) alla forza” (1).
Già il primo giorno ha avvertito: “In caso di interferenze esterne ci saranno conseguenze mai viste”.
In tale modo ha replicato alle sanzioni: “Sappiamo esattamente che cosa fare. Come e a spese di chi. E attueremo tutti i nostri piani”.
Dopo un po’ di tempo, ha ribadito il concetto: “Se qualcuno dall’esterno intende interferire negli eventi ucraini, deve sapere che ci sarà una risposta e sarà rapida. Abbiamo strumenti che nessuno ha e li utilizzeremo, se necessario. Voglio che tutti lo sappiano”.
Per legittimare l’intervento armato, ha affermato: “Gli eventi attuali sono legati alla difesa della Russia da coloro che hanno preso l’Ucraina in ostaggio e cercano di usarla contro il nostro Paese” e “nel nostro territorio storico una ‘anti-Russia’ ostile sta prendendo forma. Controllata dall’esterno, fa di tutto per attrarre forze della Nato e ottenere le armi più avanzate”.
La giustificazione della penetrazione in una terra che non è la sua, appare pretestuosa. Contiene una fallacia, cioè “un errore argomentativo nascosto, di solito costruito ad arte per convincere un interlocutore” (2): più precisamente, la non causa pro causa, così denominata “perché non è provato che l’evento presentato come causa di un certo effetto ne sia veramente la causa” (3).
L’ha individuata Bill Clinton: “Non è stata l’eventualità immediata di un ingresso dell’Ucraina nella Nato a spingere Putin a invadere due volte l’Ucraina, nel 2014 e lo scorso febbraio, bensì lo spostamento del Paese verso la democrazia, che minacciava il suo potere autocratico in patria, e il desiderio di controllare i beni preziosi del sottosuolo ucraino” (4).
In un’intervista lo scrittore spagnolo Manuel Vilas ha dato un’interpretazione ancor più articolata.
Domanda: “Che idea si è fatta del dibattito sulle ‘colpe’ della Nato e degli Stati Uniti che renderebbero in parte comprensibile la reazione di Mosca?”.
Risposta: “Entro 100 anni la Russia sarà nella Nato, se tutto va bene tra cinquanta. La reazione russa non ha niente a che vedere con la Nato. Putin non sopporta la cultura occidentale. Utilizza la Nato come motivo, ma Putin ha dichiarato guerra alla libertà di espressione, ai matrimoni omosessuali, alla letteratura, al cinema, alla prosperità economica delle classi medie, ai baci degli omosessuali nelle strade, perfino alla connessione a internet. A Putin dà fastidio che un cittadino abbia diritti politici. Non concepisce l’indipendenza del potere giudiziario e l’uguaglianza davanti alla giustizia” (5).
Un’ulteriore motivazione dell’offensiva è imperniata pure sull’argomento, ugualmente falso, della generalizzazione indebita, consistente nell’attribuire un valore generale sulla base di elementi non rappresentativi. Nello specifico, il nuovo zar, a suo dire, avrebbe avuto l’intenzione di “denazificare” i vertici dello Stato attaccato. A tale asserzione ha ribattuto lo scrittore americano Jonathan Littell, anche lui in un’intervista.
Domanda: “Lei conosce bene l’Ucraina […] Com’è possibile che molti abbiano creduto alle parole di Putin quando ha ripetuto che l’Ucraina è un ‘covo di nazisti?’”.
Risposta: “Putin è un bugiardo”.
Domanda: “Non basta. Da uno scrittore come lei ci si aspetta un’analisi più dettagliata”.
Risposta: “Va bene, ma prima mi lasci dire che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky è ebreo e, in aggiunta, parla russo. Dunque l’affermazione di Putin è quantomeno discutibile. È vero, in passato l’Ucraina si è schierata, almeno in parte, con i nazisti durante l’aggressione tedesca dell’Urss. Ma era soprattutto una reazione alle violenze staliniane. La carestia tra il 1932 e il 1933, quella provocata dalla collettivizzazione forzata dell’agricoltura voluta dal Cremlino, aveva causato milioni di morti ed era una ferita aperta, fuoco per i nazionalisti”.
Domanda: “Però poi le cose sono cambiate”.
Risposta: “Oggi ci sono sparute frange di quelli che molti chiamano ‘esponenti di estrema destra’ ma che potrebbero benissimo essere assimilati tra le fila dei nazionalisti/sovranisti, un po’ come i seguaci di Matteo Salvini o di Marine Le Pen. Anti-immigrati, anti-gay, per capirci. E pensi che alle ultime elezioni ucraine non sono nemmeno entrati in Parlamento. Dunque, il nulla, altro che covo. Io ho girato l’Ucraina in lungo e in largo, è incredibile come si passi dal russo all’idioma locale nell’arco di qualche chilometro. Non è un panorama ben definito, il quadro non è mai arrivato chiaro in Europa, dunque la propaganda ha il suo gioco” (6). à
Il caso invalidante o exemplum in contrarium – nella spiegazione di Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca – è la tecnica argomentativa, “che impedisce una generalizzazione indebita dimostrandone l’incompatibilità con quello e che indica dunque quale sia la sola direzione ammessa per la generalizzazione” (7).
L’ha impiegato, per confutare la tesi della “denazificazione”, l’ex attore, sceneggiatore, regista diventato con il suo coraggio uno statista inflessibile, sicuramente sorprendendo il suo acerrimo nemico:
“Vi hanno detto che siamo nazisti, ma come fa un popolo a essere nazista quando ha perso oltre 8 milioni di vite nella vittoria contro il nazismo? Come posso essere io accusato di essere un nazista? [sottintende la sua appartenenza alla comunità ebraica] Chiedetelo a mio nonno che ha combattuto tutta la Seconda guerra mondiale nella fanteria dell’Armata Rossa ed è morto con i gradi di colonnello dell’Ucraina indipendente” (8).
Un’efficace invalidazione è venuta perfino dalla mobilitazione popolare. Ma in Russia si è formata un’opinione, a dir poco, stravagante. Ciò emerge da una ricostruzione di un giornalista italiano: “Ormai non c’è più alcuna distinzione tra governanti e semplici civili. Margarita Simonyan, direttrice del network RT international che racconta il mondo dalla prospettiva russa, è apparsa a un talk show su NTV con un’aria costernata. ‘Pensavo che fossero diversi’ ha detto con l’espressione di chi si cosparge il capo di cenere. ‘Ma con mio grande orrore e rimpianto, devo ammettere che la maggioranza del popolo ucraino è stata inghiottita dalla follia del nazismo’”. Evidentemente “la nazificazione in corso dell’intera Ucraina, come ad esempio ha scritto il sociologo moscovita Grigory Yudin, è anche una diretta conseguenza dell’errore di giudizio del Cremlino. Quando è apparso chiaro che a Kiev non avrebbero accolto i russi come liberatori, e che anzi la popolazione avrebbe resistito, l’unica conclusione possibile nel mondo capovolto della propaganda russa è diventata quella che gli ucraini ‘sono tutti nazisti’” (9).
Volodymyr Zelensky, in funzione ancor più polemica, ha attuato una comparazione. Secondo i due studiosi ritenuti tra i fondatori della nuova retorica, “l’argomentazione non potrebbe procedere di molto senza ricorrere a paragoni, nei quali diversi oggetti siano posti a confronto per essere valutati l’uno in rapporto all’altro” (10).
Ecco il brano che la contiene, tratto da un collegamento con i deputati italiani: “A Kiev abbiamo ogni giorno le sirene, ogni notte cadono le bombe e i missili vicino a Kiev, nelle città nei dintorni ci sono diverse truppe dell’esercito russo che torturano, violentano, rapiscono i bambini, distruggono, e con i camion portano via anche i nostri beni. Questo è stato fatto in Europa per l’ultima volta dai nazisti quando stavano occupando altri Paesi” (11).
Si riconosce pure la ritorsione, che – l’ha rammentato Olivier Reboul – “consiste nel riprendere l’argomento dell’avversario col mostrare che in realtà si applica contro di lui” (12). Ne deriva la sua ridicolizzazione e il suo screditamento: nello specifico, verte sull’adozione a opera dei soldati dello zar di Mosca di comportamenti tipici delle SS.
La retorica del leader ucraino – si evince da quanto rilevato finora – è risultata sicuramente più onesta e più incisiva delle fallacie di Putin. Al fine di ottenere solidarietà, il primo si è prodigato per generare empatia, ossia la “capacità di immedesimarsi nelle condizioni di un altro e condividerne pensieri ed emozioni” (lo Zingarelli 2017). Ha puntato dunque sul pathos. Però ha associato tale mezzo persuasivo di ordine affettivo, costituito dall’“insieme di emozioni, passioni e sentimenti che l’oratore deve suscitare nel suo uditorio grazie al suo discorso” (13), al logos, lo strumento retorico di ordine razionale, contraddistinto dalla “attitudine a convincere grazie alla sua apparenza di logicità e al fascino del suo stile” e che quindi “concerne l’argomentazione propriamente detta” (14).
In effetti si è avvalso della tecnica argomentativa – ne abbiamo appena parlato – imperniata su un parallelo, sottintendendo un pensiero netto: oggi voi potete mettervi nei nostri panni, perché in panni simili ai nostri ci siete stati in passato. Nell’incontro in videoconferenza con il Congresso americano, ha affermato:
“La Russia non ha attaccato soltanto la nostra terra e le nostre città. Ha lanciato un’offensiva brutale contro i nostri valori fondamentali. Ha mandato carri armati e aerei da guerra contro le nostre libertà, contro il nostro diritto di vivere liberamente nel nostro Paese e di scegliere il nostro futuro, contro il nostro anelito alla felicità, contro i nostri sogni nazionali. Sogni che sono esattamente come quelli del popolo americano. Ricordo il vostro memoriale nazionale a Monte Rushmore, le facce dei vostri più importanti presidenti, quelli che posero le fondamenta dell’America come essa è oggi: democrazia, indipendenza, libertà, e attenzione per chiunque lavori con impegno, viva onestamente e rispetti la legge. In Ucraina vogliamo lo stesso per noi, tutto ciò che per voi è parte normale della vita”.
E inoltre:
“Nella vostra grande storia ci sono pagine che vi consentiranno di comprendere noi ucraini, oggi, nel momento del bisogno. Ricordatevi di Pearl Harbor, quel terribile mattino del 7 dicembre 1941, quando il vostro cielo fu annerito dagli aerei che vi attaccavano. Ricordate l’11 settembre, quel giorno terribile del 2001 quando il male cercò di trasformare le vostre città in un campo di battaglia, quando persone innocenti furono attaccate dall’aria in un modo che nessuno si sarebbe mai atteso, in un modo che nessuno poteva fermare. La nostra nazione vive questa situazione ogni giorno e ogni notte ormai da tre settimane, in città come Odessa e Kharkiv, Chernihiv e Sumy, Zhytomyr e Leopoli, Mariupol e Dnipro. La Russia ha trasformato il cielo ucraino in una fonte di morte per migliaia di persone. Le truppe russe hanno già lanciato contro l’Ucraina quasi mille missili e un numero incalcolabile di bombe, utilizzando i droni per uccidere con maggior precisione. Questo è un terrore che l’Europa non vedeva da ottant’anni” (15).
Il verbo “ricordare” ha la prerogativa di evocare qualsiasi cosa con evidenza rappresentativa. Un’identica funzione icastica è svolta da “immaginare”, giacché si delinea la figura retorica dell’ipotipòsi. Essa, secondo Pierre Fontanier, “dipinge le cose in una maniera così viva e così energica, che ce le pone in qualche modo sotto gli occhi e fa di un racconto o di una descrizione, un’immagine, un quadro o addirittura una scena dal vivo” (16). Il destinatario del messaggio ha l’impressione di assistervi grazie alla registrazione dei dati percepiti mediante i sensi, in particolare – è per l’appunto il nostro caso – le sensazioni visive.
È quanto emerge nei seguenti estratti. L’ex attore, sceneggiatore, regista divenuto necessariamente un leader eroico si rivolge rispettivamente ai deputati italiani e ai membri delle cortes della Spagna:
“Le città ucraine vengono distrutte, alcune sono completamente distrutte, come Mariupol, sulla costa del mare d’Azov, dove c’erano circa mezzo milione di persone come nella vostra città di Genova dove sono stato. A Mariupol non c’è più niente, solo rovine. Immaginate una Genova completamente bruciata dopo tre intere settimane di assedio, di bombardamenti, di spari che non smettono neanche un minuto. Immaginate la vostra Genova dalla quale scappano le persone a piedi, con le macchine, con i pullman, per arrivare dove è più sicuro” (Cfr. la nota 11).
“Immaginate questo: le madri in Ucraina scrivono sulle schiene dei bambini il loro nome, i numeri di telefono dei parenti con una normale penna… Perché? Perché se gli invasori uccidono i loro genitori, ci sarà almeno una piccola possibilità che qualcuno salverà questi bambini. Immaginate che le persone ora – in Europa – vivono per settimane negli scantinati per salvare vite umane dai bombardamenti, dalle bombe aeree ogni giorno! Aprile 2022. E la realtà in Ucraina è come se fosse l’aprile del 1937 quando il mondo intero ha appreso il nome di una delle vostre città: Guernica. Immaginate che in normali città si possono creare artificialmente condizioni in cui più di centomila persone vivono per settimane senza acqua, senza cibo, senza medicine. Le truppe russe hanno bloccato la nostra città di Mariupol più di tre settimane fa. Stanno distruggendo completamente questa città. Non c’è altro che rovine. Più del 90% di tutti gli edifici è stato distrutto!” (17).
In collegamento con la Camera dei Comuni del Regno Unito, più semplicemente ha osservato: “Non abbiamo iniziato questa guerra e non l’abbiamo voluta. Non vogliamo perdere il nostro Paese allo stesso modo in cui voi non voleste perdere il vostro Paese quando i nazisti vi stavano combattendo”.
Nel discorso in videoconferenza alla Knesset, il parallelo con la tragedia degli Ebrei ha suscitato una polemica. L’ha rammentato una giornalista italiana: “Parlando ai legislatori israeliani, ma anche alla folla che lo guardava da un maxischermo in piazza a Tel Aviv, Zelensky ha cercato ancora una volta il massimo del pathos, arrivando al paragone con la Shoah. ‘Per la questione ebraica i nazisti parlavano di soluzione finale e anche oggi i russi parlano di soluzione finale per la questione ucraina’, ha affermato. Il confronto con l’Olocausto è stato duramente criticato dal premier israeliano Bennett e dal ministro delle Comunicazioni Hendel, che hanno ribadito come la Shoah non possa essere riscritta né tantomeno comparata a nulla” (18).
Il presidente dell’Ucraina, sapendo che le sue parole sarebbero state ascoltate o lette da un pubblico vastissimo, formato da chiunque prova orrore per lo sterminio di massa, a vantaggio della propria causa forse ha utilizzato consapevolmente e non istintivamente un’amplificazione. Vale per essa la spiegazione proposta da Pierre Fontanier a proposito di un tipo di iperbole: “Accresce […] le cose con l’eccesso e le presenta ben al di sopra […] di quello che esse effettivamente sono”. Olivier Reboul, citandola, ha aggiunto che l’esagerazione ha lo scopo “non di ingannare, ma di condurre alla verità stessa e di fissare, attraverso ciò che la figura dice di incredibile, ciò che bisogna effettivamente credere” (19).
In determinati casi l’inflessibile capo di una terra che lotta per la sua indipendenza si è appellato alle emozioni, ma non in maniera ingannevole, bensì associandole a ragionamenti a sostegno di una tesi. Così è stato con la paura (si veda la voce “Argomento ad metum” nella sezione Reto Fallacie nel nostro sito) per rafforzare l’argomento pragmatico (“permette di valutare un atto o un evento in funzione delle sue conseguenze favorevoli o sfavorevoli” e “ha una funzione talmente essenziale nell’argomentazione, che certuni hanno voluto vedervi lo schema unico della logica dei giudizi di valore”) e l’argomento di direzione (“consiste, essenzialmente, nel mettere in guardia contro l’uso del procedimento a tappe: se cedete questa volta dovrete cedere un po’ di più la volta prossima, e Dio sa quando vi fermerete”) (20).
Ecco un’occorrenza per il primo e una per il secondo, entrambe ricavate dalla riunione a distanza con i deputati italiani (Cfr. la nota 11):
“Le conseguenze di questa guerra si sentono in diverse parti del mondo e non solo dell’Europa e quindi parliamo anche della fame che si sta avvicinando per diversi Paesi: l’Ucraina è sempre stata uno degli esportatori di viveri più grandi e più importanti. Ma come possiamo seminare sotto l’artiglieria russa? Come possiamo coltivare quando il nostro nemico distrugge i nostri campi, distrugge il nostro combustibile? Non sappiamo come avremo i raccolti e se possiamo esportare. Non possiamo esportare il mais, l’olio, il frumento e altri prodotti assolutamente necessari per la vita e questo riguarda anche i nostri vicini attraverso il mare. I prezzi stanno crescendo, decine di milioni di persone avranno bisogno di aiuto di fronte alle vostre coste”.
“Bisogna fare il possibile per garantire la pace. La guerra è stata organizzata […] non solo contro l’Ucraina, perché il loro obiettivo è l’Europa: è influenzare le vostre vite, avere il controllo sulla vostra politica, distruggere i vostri valori, la democrazia, i diritti dell’uomo, la libertà. L’Ucraina è il cancello per l’esercito russo e loro vogliono entrare in Europa: ma la barbarie non deve entrare”.
Si teme davvero che l’espansione della Federazione Russa continui, interessando nuovi territori: di qui la richiesta della Finlandia e della Svezia di essere ammessi nella Nato.
Nello specifico, le due tecniche argomentative coincidono con il luogo dell’irreparabile. Per Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, “la forza argomentativa legata alla sua evocazione può avere un valore folgorante. Ne è esempio la celebre perorazione di san Vincenzo de Paoli, rivolta alle dame pie per indicar loro gli orfani da lui protetti: ‘Siete state le loro madri secondo la grazia, da quando le loro madri secondo natura li hanno abbandonati […] Essi vivranno, se voi continuerete a prenderne cura con spirito di carità; ma sappiate, e ve lo dichiaro al cospetto di Dio, che saranno tutti morti domani, se voi li abbandonate’” (21).
Al medesimo fine della mozione degli affetti, cioè per commuovere, il leader ucraino l’ha utilizzato, riferendosi all’infanzia vittima innocente della tragedia provocata dallo zar di Mosca:
“Una settimana fa ho parlato durante un incontro a Firenze con una decina di città europee e ho chiesto a tutti gli italiani e tutti gli europei di ricordare il numero 79: 79 erano i bambini uccisi in quel momento in Ucraina. Adesso sono 117: ancora altri 38 bambini in questi giorni. Questo è il prezzo del procrastinare con la pressione sulla Russia per far fermare questa guerra […] Noi sappiamo che ogni giorno di guerra porterà via altre vite dei nostri bambini: 117 non è il numero finale”.
Il brano include l’eziologia (“Questo è il prezzo del procrastinare con la pressione sulla Russia per far fermare questa guerra”). Per Armando Plebe e Pietro Emanuele, “si tratta del dirigere la propria argomentazione nella direzione dell’attribuire uno o più fatti accaduti alle cause che si ritiene opportuno evidenziare in luogo di altre possibili cause degli stessi effetti” (22).
Per mezzo di essa, presumibilmente, l’emittente del messaggio ha cercato di suscitare un senso di colpa nel destinatario allo scopo di persuaderlo a intervenire in aiuto di una terra, che eroicamente combatte con un aggressore nettamente superiore militarmente e particolarmente spietato perfino con cittadini inoffensivi. Lo si colpevolizza pure con il luogo comune del più e del meno: “Chi può il più, può il meno”. Ne deriva il ragionamento a fortiori [“a più forte (ragione)”], un’“argomentazione che convalida una proposizione in base al fatto che abbia ragioni ancor più numerose e valide di altra già tenuta per valida” (lo Zingarelli 2017).
Zelensky vi è ricorso, indirizzandosi al congresso americano:
“Chiediamo di stabilire una no-fly zone sull’Ucraina per salvare la sua gente, una no-fly zone umanitaria […] Se la nostra richiesta è eccessiva, proponiamo un’alternativa: voi sapete quali sono i sistemi di difesa di cui abbiamo bisogno: C-300 e altri simili […] Aerei che possono aiutare l’Ucraina, che possono aiutare l’Europa” (cfr. nota 15). In sintesi è come se dicesse: potreste concederci il più (la no-fly zone) e dunque tanto più il meno (gli aerei C-300).
La conclusione dell’estratto contiene un argomento riconducibile, forse con un po’ di approssimazione, all’inclusione della parte nel tutto. Così si riconosce la maggiore importanza dell’insieme in confronto a una sua componente, giacché la seconda è compresa nel primo. Nello specifico, in qualche maniera si sottintende la probabilità di un aggravamento della situazione con l’estensione della guerra da un unico Stato al continente che lo abbraccia e s’intuisce quindi il tentativo di condividere il pericolo. Ecco ulteriori casi:
“Nell’ora più buia per il nostro Paese e per l’intera Europa, vi chiedo di fare di più. Ogni settimana che passa sono necessari nuovi pacchetti di sanzioni”.
“Se avete aziende nei vostri collegi elettorali che sponsorizzano la macchina militare russa, o che mantengono i loro affari in Russia, dovete metterli sotto pressione in modo che lo Stato russo non riceva più un singolo dollaro da spendere nella distruzione dell’Ucraina, nella distruzione dell’Europa”.
Oltre al pathos, uno strumento persuasivo di ordine affettivo è l’ethos, costituito dal “carattere che deve assumere l’oratore per accattivarsi l’attenzione e guadagnarsi la fiducia dell’uditorio” (23).
Il presidente dell’Ucraina però se n’è avvalso relativamente alla sua nazione, rivolgendosi agli Italiani (nei primi tre esempi: cfr. nota 11) e agli Americani (negli ultimi due: cfr. nota 15):
“Oggi ho parlato con Sua Santità papa Francesco e lui ha detto parole molto importanti: ‘Capisco che voi desiderate la pace, capisco che dovete difendervi, i militari difendono i civili, difendono la propria patria, ognuno la difende’. E io ho risposto che il nostro popolo è diventato l’esercito, quando ha visto che male porta con sé il nemico, quanta devastazione lascia dietro di sé e quanto spargimento di sangue vuole vedere.
“Io parlo da Kiev, dalla nostra capitale […] Da Kiev inizia la grande cultura di un grande popolo e adesso noi siamo al limite della sopravvivenza”.
“Voi conoscete bene gli ucraini e conoscete un popolo che non ha mai voluto la guerra, un popolo europeo quanto lo siete anche voi”.
“Sono fiero di portarvi il saluto dall’Ucraina, dalla nostra capitale Kiev. Da una città che è quotidianamente sotto i bombardamenti e gli attacchi missilistici delle forze armate russe, ma che non si arrende e che nemmeno per un minuto ha preso in considerazione l’idea di arrendersi, come altre decine di città e comunità nel nostro Paese che si sono trovate nel mezzo del peggior conflitto dalla Seconda Guerra Mondiale”.
“Ho l’onore di portarvi il saluto del popolo ucraino, un popolo coraggioso e amante della libertà che da otto anni resiste all’aggressione della Federazione russa, che ha sacrificato i suoi figli e le sue figlie migliori per fermare l’invasione”.
Tuttavia, riguardo all’ethos riferito all’individuo, a causa delle circostanze l’ex attore, sceneggiatore, regista è diventato uno statista rigoroso e ne ha rivelato subito un tratto di personalità, la fermezza. Nel momento in cui americani e inglesi gli hanno proposto di mettersi in salvo, abbandonando la sua terra, la sua risposta ha deluso le loro attese: “Ho bisogno di munizioni, non di un passaggio”.
Note
(1) Franca D’Agostini, Verità avvelenata. Buoni e cattivi argomenti nel dibattito pubblico, Bollati Boringhieri, 2010, p. 122. Si veda alla voce “argomento ad baculum” nella sezione Reto Fallacie nel nostro sito.
(2) Franca D’Agostini, op. cit., p. 106.
(3) Paola Cantù, E qui casca l’asino. Errori di ragionamento nel dibattito pubblico, Bollati Boringhieri, 2011, p. 29.
(4) Bill Clinton, “Sentivo il pericolo, / ampliai la Nato”, in Corriere della Sera, 12 aprile 2022, p. 13.
(5) In Paolo Lepri, “Siamo tutti minacciati / Putin pensa che la democrazia / sia una degenerazione”, in Corriere della Sera, 23 aprile 2022, p. 15.
(6) In Roberta Scorranese, “Jonathan Littell: ‘La paranoia non mi convince, Putin è stato lucidissimo’”, in 7-Corriere della Sera, 25 marzo 2022, p. 24.
(7) Chaïm Perelman, Lucie Olbrechts-Tyteca, Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, Einaudi, 2013, p. 386. Cfr. “Il caso invalidante nel discorso politico negli Stati Uniti”, pubblicato nel nostro sito il 13 ottobre 2019.
(8) In “Il drammatico appello di Zelensky ai russi virale sui social”, in Ansa.it, 24 febbraio 2022.
(9) Marco Imarisio, “‘Ucraini nazisti’ / Così la propaganda / spinge per coprire / gli orrori dei russi”, in Corriere della Sera, 10 aprile 2022, p. 11.
(10) Chaïm Perelman, Lucie Olbrechts-Tyteca, op. cit., p. 262.
(11) In Paolo Decrestina, “Zelensky alla Camera: il discorso integrale del presidente ucraino. ‘Guerra’ e ‘bambini’ le parole più usate”, in Corriere.it, 22 marzo 2022.
(12) Olivier Reboul, Introduzione alla retorica, Il Mulino, 1996, p. 207.
(13) Olivier Reboul, op. cit., p. 70.
(14) Olivier Reboul, op. cit., pp. 36 e 70.
(15) In “Stiamo combattendo anche per l’Europa”, in repubblica.it, 16 marzo 2022.
(16) Pierre Fontanier, Les figures du discours, 1991, p. 390, riportato in Olivier Reboul, op. cit., p. 174.
(17) In “Zelensky al Parlamento spagnolo: ‘È come Guernica’”, in Notizie.tiscali.it, 6 aprile 2022.
(18) Lilli Gruber, “Sul paragone con la Shoah Zelensky ha sbagliato: meglio non nominare Hitler”, in 7- Corriere della Sera, 1 aprile 2022, p. 11.
(19) Olivier Reboul, op. cit., p. 146.
(20) Chaïm Perelman, Lucie Olbrechts-Tyteca, op. cit., p. 288 e p. 306.
(21) Chaïm Perelman, Lucie Olbrechts-Tyteca, op. cit., p. 99.
(22) Armando Plebe e Pietro Emanuele, Manuale di retorica, Universale Laterza, 1988, pp. 123-124.
(23) Olivier Reboul, op. cit., p. 21.